G. D’Annunzio – La pioggia nel pineto

La pioggia nel pineto - G. D'Annunzio, approfondimento per gli alunni del III anno della Sc. Sec. di I grado a cura di Gabriella Rizzo | Homework & Muffin

III Anno | 5 Maggio 2020

Oggi parliamo di Gabriele D’annunzio, la cui opera si inserisce nel solco del Decadentismo, e della lirica La pioggia nel pineto.

G. D’Annunzio: la vita

Gabriele D’Annunzio nasce a Pescara nel 1863 da famiglia benestante.

A sedici anni pubblica, finanziato dal padre, la prima raccolta di versi, Primo vere. Compiuti gli studi liceali a Prato, si trasferisce a Roma per iscriversi alla facoltà di Lettere, ma non termina l’università perché distratto da avventure sentimentali e occasioni mondane.

Sia per le opere sia per lo stile di vita sfarzoso e raffinato, D’Annunzio diventa presto molto conosciuto nella società intellettuale del suo tempo.

Dopo aver cambiato diverse residenze e amanti, incontra l’attrice Eleonora Duse, con cui intreccia una relazione sentimentale e intellettuale.

La relazione con l’attrice accresce l’interesse per il teatro, per il quale scrive diverse opere.

Insieme alla Duse si trasferisce nel 1898 nella villa “La Capponcina” di Settignano, vicino Firenze.

Questo è stato il periodo più ispirato di D’Annunzio: in quegli anni vedono la luce molte sue opere.

L’artista ha importanza non solo per la storia della letteratura, ma anche per la storia politica.

Partecipa attivamente alle vicende politiche italiane.

Ricordiamo che, scoppiata la Prima guerra mondiale, D’Annunzio si schiera a favore dell’intervento e partecipa ad azioni di guerra di vasta risonanza come “La beffa di Bucari” e il volo su Vienna, ma soprattutto la città di Fiume compiuta con un gruppo di volontari nel 1919.

Nell’ultima parte della sua vita si ritira a Gardone Riviera, sul lago di Garda, nella villa chiamata il “Vittoriale degli Italiani”, che lo trasforma in un museo personale e che lascia in dono allo Stato italiano dopo la morte nel 1938.

G. D’Annunzio – Il culto di sé, della natura e della bellezza

D’Annunzio è il rappresentante del primo Decadentismo, legato ai miti dell’Estetismofare della vita un’opera d’arte», cioè la concezione della vita come opera d’arte, il cui unico scopo è la ricerca del bello e delle sensazioni estreme che esso suscita), del Superomismovivere una vita inimitabile») e dell’Individualismo (che si esprime nell’affermazione di sé al di sopra di ogni regola morale e delle convinzioni della società).

L’artista è perennemente alla ricerca di uno stile raffinato e di un linguaggio che sembri musica: infatti gioca con i suoni delle parole per riprodurre la voce della natura, sceglie vocaboli che non si usano più e inventa egli stesso termini nuovi.

È un esteta, cioè considera l’arte e la bellezza come valori assoluti; ha una grande considerazione di sé e si sente un “superuomo” dalla vita ineguagliabile.

Nel suo mondo poetico la natura e i sensi occupano un posto molto importante: la natura perché è considerata come forza cosmica da cui il poeta attinge l’energia e i sensi del piacere che permettono di provare.

G. D’Annunzio – La pioggia nel pineto: analisi

La lirica La pioggia del pineto fa parte della raccolta poetica Alcyone.

Le poesie presenti in questa raccolta evocano la storia di un’estate d’amore tra D’Annunzio ed Eleonora Duse, chiamata col nome mitologico di Ermione.

I contenuti celebrano la vitalità della natura e le metamorfosi, cioè le trasformazioni che regolano il ciclo della natura e la vita dell’uomo.

Ne La pioggia del pineto il poeta invita Ermione ad ascoltare la musica della pioggia che cade, prima rada poi scrosciante, sulla pineta. Le gocce risuonano sulle piante come su un grande pianoforte, emettendo note diverse. Il poeta si abbandona alla natura, sentendosene parte e provandone un piacere inebriante.

****

Schema metrico: quattro strofe di trentadue versi liberi di varia ampiezza con un fitto gioco di rime e ritmi, assonanze, consonanze.

L’ultimo verso di ogni strofa è costituito dal nome di Ermione.

Prima strofa

Taci. Su le soglie

 del bosco non odo

parole che dici

umane; ma odo

parole più nuove

che parlano gocciole e foglie

lontane.

Ascolta. Piove

dalle nuvole sparse.

Piove su le tamerici

salmastre ed arse,

piove sui pini

scagliosi ed irti,

piove su i mirti

divini,

su le ginestre fulgenti

di fiori accolti,

su i ginepri folti

di coccole aulenti,

piove su i nostri volti

silvani,

piove su le nostre mani

ignude,

su i nostri vestimenti

leggieri,

su i freschi pensieri

che l’anima schiude

novella,

su la favola bella

che ieri

t’illuse, che oggi m’illude,

o Ermione.

Analisi prima strofa

Taci. 

(il poeta si rivolge alla donna amata, invitandola a tacere per ascoltare. Egli le attribuisce il nome di Ermione, simbolo di bellezza, come la mitica figlia di Elena e Menelao). Sull’ingresso del bosco non odo più le tue parole; ma odo parole inedite che sussurrano le gocce di pioggia che cadono sulle foglie in lontananza.

Il linguaggio della pioggia che cade sulle foglie è più interessante di quello umano per il suo fascino musicale.

Ascolta.

(il poeta invita la compagna ad ascoltare i suoni della pioggia Il verbo è all’imperativo come il precedente “Taci”). Piove dalle nuvole sparse. Piove sulle tamerici salmastre e arse(i tamerici, arbusti sempreverdi che crescono vicino al mare, sono impregnati di salsedine e bruciati dal caldo estivo), piove sui pini scagliosi e irti (“scagliosi” si riferisce alla ruvida corteccia dei pini, “irti” agli aghi pungenti delle foglie), piove sui divini mirti (il mirto, nell’antichità, era sacro a Venere), sulle ginestre luccicanti (per i fiori del colore dell’oro) di fiori raggruppati in ciocche., sui ginepri pieni di bacche profumate (“coccole aulenti”), piove sui nostri volti silvestri (cioè di creature della selva), piove sulle nostre mani nude, sui nostri abiti leggeri, sui freschi pensieri a cui dà vita (schiude) l’anima rinnovata(novella; la pioggia rigenera l’anima, la purifica); sulla bella favola che ieri ti illuse, che oggi mi illude o Ermione(la favola è la vita con i suoi sogni d’amore e con le sue illusioni).

Seconda strofa

Odi?

La pioggia cade

su la solitaria

verdura

con un crepitìo che dura

e varia nell’aria

secondo le fronde

più rade, men rade.

Ascolta. Risponde

al pianto il canto

delle cicale

che il pianto australe

non impaura,

né il ciel cinerino.

E il pino

ha un suono, e il mirto

altro suono, e il ginepro

altro ancóra, stromenti

diversi

sotto innumerevoli dita.

E immersi

noi siam nello spirto

silvestre,

d’arborea vita viventi;

e il tuo vólto ebro

è molle di pioggia

come una foglia,

e le tue chiome

auliscono come

le chiare ginestre,

o creatura terrestre

che hai nome

Ermione.

Analisi seconda strofa

Odi?

La pioggia cade sulla solitaria vegetazione del bosco (solitaria perché il bosco è isolato dai rumori che possono disturbare la musica della pioggia) con un suono che persiste (dura) e si diffonde con varie modulazioni (varia) nell’aria in base al fogliame più o meno folto su cui cade la pioggia (creando una musica armoniosa).

Ascolta.

Al pianto della pioggia risponde il canto delle cicale che né la pioggia portata dal vento dello scirocco (australe) né il cielo grigio riescono a spaventare(quindi a far tacere). Il pino ha un suono, il mirto un altro, il ginepro un altro ancora, come se fossero strumenti diversi suonati da numerose dita.

E noi siamo immersi nell’anima della selva (spirto silvestre), trasformati in creature arboree; e il tuo volto ubriaco è intriso di pioggia come una foglia, e i tuoi capelli profumano come le chiare ginestre, o creatura terrestre (generata dalla terra) che hai nome Ermione.

Terza strofa

Ascolta, ascolta. L’accordo

delle aeree cicale

a poco a poco

più sordo

si fa sotto il pianto

che cresce;

ma un canto vi si mesce

più roco

che di laggiù sale,

dall’umida ombra remota.

Più sordo e più fioco

s’allenta, si spegne.

Sola una nota

ancor trema, si spegne,

risorge, trema, si spegne.

Non s’ode voce del mare.

Or s’ode su tutta la fronda

crosciare

l’argentea pioggia

che monda,

il croscio che varia

secondo la fronda

più folta, men folta.

Ascolta.

La figlia dell’aria

è muta; ma la figlia

del limo lontana,

la rana,

canta nell’ombra più fonda,

chi sa dove, chi sa dove!

E piove su le tue ciglia,

Ermione.

Analisi terza strofa

Ascolta, ascolta.

Il coro (l’accordo) delle cicale (aeree perché cantano sugli alti rami degli alberi), a poco a poco si fa più sommesso (sordo), mentre aumenta la pioggia (pianto); ma un canto si mescola alla pioggia e si confonde (vi si mesce), più rauco (roco, cioè il gracidare delle rane), che sale da laggiù, dalla parte del bosco più lontana (remota) battuta dalla pioggia (umida).

Più rauco (sordo) e più debole (fioco) si affievolisce (s’allenta), si smorza (si spegne). Solo una nota ancor trema, si spegne, risorge, trema, si spegne.

Non si sente il suono delle onde (voce) del mare. Ora si sente scrosciare su tutte le fronde degli alberi la pioggia che scende come fili d’argento, che purifica (monda; lo scrosciare della pioggia provoca una rinascita di tutte le cose, assumendo una funzione quasi sacra), il rumore varia secondo la densità del fogliame.

Ascolta.

La cicala (la figlia dell’aria) è silenziosa, ma in lontananza la rana, la figlia dello stagno, continua a cantare nell’ombra più scura, chi sa dove, chi sa dove!

E piove sulle tue ciglia, Ermione (l’attenzione del poeta, prima rivolta alla sinfonia del bosco e alle voci delle cicale e delle rane, ora ritorna ad Ermione. Le gocce di pioggia, che bagnano le ciglia della donna, sembrano un pianto che nasce dalla gioia della vita nuova in cui ella si sente immersa).

Quarta strofa

Piove su le tue ciglia nere

sì che par tu pianga

ma di piacere; non bianca

ma quasi fatta virente,

par da scorza tu esca.

E tutta la vita è in noi fresca

aulente,

il cuor nel petto è come pèsca

intatta,

tra le pàlpebre gli occhi

son come polle tra l’erbe,

i denti negli alvèoli

son come mandorle acerbe.

E andiam di fratta in fratta,

or congiunti, or disciolti

(e il verde vigor rude

ci allaccia i mallèoli

c’intrica i ginocchi)

chi sa dove, chi sa dove!

E piove su i nostri vólti

silvani,

piove su le nostre mani

ignude,

su i nostri vestimenti

leggieri,

su i freschi pensieri

che l’anima schiude

novella,

su la favola bella

che ieri

m’illuse, che oggi t’illude,

o Ermione.

Analisi quarta strofa

Piove sulle tue ciglia nere, che sembrano lacrime di gioia (per l’esperienza di unione con la natura); sembra che tu esca dalla corteccia (scorza) di un albero, quasi divenuta verdeggiante (fatta virente, come una creatura verdeggiante).

E tutta la vota è in noi fresca profumata, il cuore nel petto è come una pesca intatta, gli occhi tra le palpebre sono come sorgenti d’acqua (polle) tra l’erba; i denti nelle loro cavità (alveoli) sono come mandorle non ancora mature (acerbe).

(Si noti la trasformazione delle parti del corpo negli elementi della natura)

E andiamo di cespuglio in cespuglio (di fratta in fratta), ora abbracciati (congiunti), ora separati (disciolti), (e la forza tenace (vigor rude) delle erbe e dei cespugli ci stringe (ci allaccia) le caviglie (malleoli) e impedisce il movimento (c’intrica) delle ginocchia)

Chi sa dove, chi sa dove! (il poeta ripete lo stesso verso di poco prima, riferito alla rana, e troviamo la stessa sensazione di indeterminatezza che accompagna il procedere del poeta con Ermione, che non ha meta ma vaga nello spazio della natura, i due innamorati sono quasi storditi dalla nuova vita)

E piove sui nostri volti silvestri, piove sulle nostre mani nude, sui nostri abiti leggeri, sui freschi pensieri a cui dà vita l’anima rinnovata; sulla bella favola che ieri mi illuse, che oggi ti illude o Ermione (la lirica si chiude con la ripresa del tema della pioggia, con l’inversione dei pronomi “che ieri/m’illuse, che oggi t’illude”, che era nei versi 30-32: “ieri/t’illuse, che oggi m’illude”. La favole dell’amore lega il poeta ed Ermione con alterne illusioni).

*****

Come avete potuto notare la lirica presenta un fitto richiamo di rime, assonanze, consonanze, onomatopee e ripetizioni che danno un’estrema musicalità alla poesia.

La lirica è una sinfonia musicale. Nella sua etimologia di origine greca, il nome “sinfonia” significa “unione di suoni e di voci che formano un’armonia”.

Il poeta sceglie quindi le parole non tanto per il loro significato, quanto per il loro suono, così da creare la suggestione di una musica.

Il lettore si trova quasi immerso, con tutti e cinque sensi, in questa atmosfera di sogno e di armonia.

 

«Saremo felici o saremo tristi, che importa? Saremo l’uno accanto all’altra. E questo deve essere, questo è l’essenziale.»

– Gabriele D’Annunzio

Gabriella

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